È come recitare.

Agosto 22, 2022

“Una macchina veloce, l’orizzonte lontano e una donna da amare alla fine della strada”. Queste parole da “On the Road” (1957) di Jack Kerouac sembrano scritte per raccontare chi fosse Paul Newman: pluripremiato attore americano da quasi 60 film, appassionato di auto sportive, velocissimo al volante, collezionista.

Nato nel 1925 in Ohio, il divo di Hollywood ha raggiunto traguardi straordinari: come interprete – tre Oscar, uno alla carriera – e come pilota. Odiava stare sotto i riflettori, se non quelli necessari di scena. Il ruolo della star gli si addiceva al cinema, non in pista. Al volante preferiva mantenere un profilo basso: “Nessuno prende le corse troppo sul serio, la maggior parte delle persone che ne fanno parte si divertono e basta”, disse a Sports Illustrated nel 1980.

In pubblico non mostrava quasi mai il suo sguardo, camuffandolo spesso dietro occhiali scuri. “Se li togliessi rimarrei come in mutande”, confidava ai fan. Anche per questo si trovava a suo agio indossando casco e visiera. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima. I suoi, di un azzurro luminoso, mostravano risolutezza e sensibilità. Così attenti ai particolari che lo rendevano glaciale in pista. Un talento naturale scoperto per caso, grazie al cinema. Correre divenne la sua più grande passione, quasi una carriera dentro alla carriera. “Sono stato scarso come pugile, come giocatore di football, a tennis, a badminton e un pessimo sciatore. Durante le riprese di ‘Winning’ (da noi ‘Indianapolis: pista infernale’, 1969), mi resi conto di avere del potenziale per diventare un buon pilota. Abbandonai le scene per qualche mese per concentrarmi sulla guida”.

Senza stuntman

Grazie ai consigli del professionista Bob Bondurant, Newman girò quel film senza farsi sostituire da stuntman – realizzato quando stelle come Bobby Unser, Dan Gurney e Bobby Grim, che interpretavano se stessi, erano al culmine della carriera – legando il proprio nome all’epoca d’oro delle corse automobilistiche Indy.

Nella storia cinematografica, Paul era Frank Capua: troppo impegnato nelle corse, trascurava l’amata Elora (sullo schermo sua moglie Joanne Woodward) pur di vincere la 500 Miglia di Indianapolis. Proprio in quell’occasione la sua storica compagna di vita regalò al marito un prezioso orologio Rolex Daytona con una dedica incisa sulla cassa: “Guida con prudenza”. Nel 2005 il cadeau venne battuto all’asta a New York per quasi 18 milioni di dollari. Nonostante la preoccupazione della bella Joanne, Newman continuò a correre fino alla fine dei suoi giorni, soprattutto con muscle car e gran turismo da competizione: Ford e Triumph ma anche Porsche, Ferrari, Datsun, Lotus e Nissan. Molte di queste finirono direttamente nel suo garage privato.

Le vittorie

Il palmarès di Newman è ricco di successi. Nel 1972 vinse la sua prima gara di SCCA (Sports Car Club of America) al volante di una Lotus Elan. L’anno successivo partecipò con una Datsun 510 e una Ford Escort a varie corse nazionali. Nel ’75 abbandonò la scuderia del mentore Bob Sharp fondando la PLN Racing. Con una Triumph TR6 conquistò il titolo Classe D-Production del campionato SCCA.

Passato all’endurance, su una Ferrari 365 GTB/4 del team dell’amico Clint Eastwood, chiuse al quinto posto la 24 Ore di Daytona. Allora pensò di aver raggiunto il top e ipotizzò di lasciare le corse. Sharp lo convinse a non smettere: così con le Datsun 280Z e l’evoluzione ZX, vinse la Classe C. Il traguardo più importante, però, lo tagliò nella gara di durata per eccellenza: la 24 Ore di Le Mans: con Dick Barbour e Rolf Stommelen conquistò un incredibile secondo posto al volante di una Porsche 935, guidando alla perfezione anche durante le sessioni notturne. Quindi fondò la Newman-Haas che vincerà 107 Gp e otto titoli nella Formula CART: il marchio è ancora oggi in Formula 1. Accompagnato da Jean Todt, nel 2005 ebbe il privilegio di guidare una Ferrari GTB Fiorano a porte chiuse a Maranello.

Il ritiro

All’età di 79 anni – nelle prove libere della Daytona International Speedway, in Florida – non perse la calma nemmeno mentre il motore della sua vettura prendeva fuoco. Ne uscì illeso. “Guidare in pista è come recitare. Hai una sola persona su cui fare affidamento: te stesso”, disse durante la sua ultima apparizione a Indianapolis nel 2008, neanche due settimane prima di morire il 26 settembre di quello stesso anno per un tumore.

*Articolo pubblicato su l’Automobile 37, febbraio 2020