Monaco e Indianapolis, gioielli della corona.

Maggio 30, 2022

Monaco e Indianapolis: la Costa Azzurra e lo stato di New York, luoghi diversissimi, separati da oltre 7.300 chilometri. Cosa hanno in comune? Il fatto di essere la “casa” di due delle gare più leggendarie, amate, seguite del motorsport: il Gp di Monte Carlo di F1 e la 500 Miglia di Indianapolis, che, per uno “scherzo” del calendario, si svolgono entrambe oggi 29 maggio, sulle due sponde dell’Atlantico.

Queste competizioni formano – insieme alla 24 ore di Le Mans che si corre tra poche settimane, nel week end dell’11 e 12 giugno – la “Triple Crown”, il tris di vittorie più prestigioso che un pilota possa sognare. L’unico nella storia ad aver raggiunto questo incredibile traguardo è l’inglese Graham Hill, che di se stesso una volta disse: “sono un artista, la pista è la mia tela, la macchina è il mio pennello”. 

Per celebrare questa occasione speciale, ecco qualche curiosità sui circuiti, i record e i protagonisti di oggi e di ieri che hanno reso queste sfide a tutta velocità un appuntamento da non perdere per gli appassionati di motori.

La prima volta

Nel Principato, il primo Gran Premio – quando ancora non esisteva la F1 – fu organizzato dal magnate del tabacco Antony Noghès, cui oggi è intitolata una delle 19 curve del tracciato. All’epoca l’industriale era a capo dell’Automobile Club de Monaco e organizzava già il Rallye Automobile Monte Carlo. La gara, a inviti e sotto l’egida del Principe Luigi II, venne disputata il 14 aprile 1929. A vincere – a bordo di una Bugatti Type 35B – fu William Grover-Williams, pilota anche di moto e agente segreto per Sua Maestà, che finirà ucciso in un campo di concentramento nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Monaco entrò nel circus nel 1950 e dal 1955 è presente in pianta stabile nel calendario della F1.

A Indianapolis la prima 500 della storia si è svolta nel 1911, due anni dopo la fondazione del circuito, nato da un progetto di Carl Graham Fisher. A quello storico debutto parteciparono 40 vetture e la vittoria andò a Ray Harroun su una Marmon Wasp dotata di un benefit che lo stesso pilota aveva progettato e realizzato: lo specchietto retrovisore.

Qualche record

Il Gp di Monaco è l’unica eccezione alla regola imposta dalla FIA sulla lunghezza delle gare di F1 che devono svolgersi lungo almeno 300 chilometri. I 78 giri del tracciato, che misura 3.337 metri, comportano una percorrenza totale di soli 260 chilometri e 286 metri. Il giro più veloce registrato è quello, in prova, della Red Bull di Daniel Ricciardo che ha fermato il cronometro, nel 2018, a 1.10.810. 

Per contro a Indianapolis il record di percorrenza è di Eddie Cheever Jr che nel 1996 compì il giro in 38 secondi e 119. Il termine “500” si riferisce proprio alla lunghezza in miglia della gara (circa 804 chilometri), con i piloti che ripetono 200 volte il tracciato che misura 2,5 miglia. 

Ayrton Senna è il “re” di Monte Carlo per numero di successi riportati: sei complessivamente, di cui 5 consecutivi tra il 1989 e il 1993. A cinque troviamo appaiati Michael Schumacher e il già citato Graham Hill. Sull’ovale Usa, invece, il massimo delle vittorie per un pilota è di quattro edizioni e sono quattro anche i driver che posso vantarsi di aver raggiunto questo traguardo: A.J. Foyt, Al Unser, Rick Mears and Helio Castroneves. Quest’ultimo – brasiliano, nativo di San Paolo come Ayrton – è il vincitore dell’anno passato e nel 2022 punta a diventare l’unico a essersi aggiudicato cinque volte la gara.

Variazioni tecniche

Entrambi i circuiti – diversissimi tra loro visto che uno è forse il più famoso dei cittadini mentre l’altro è un ovale velocissimo – richiedono accorgimenti particolari per quanto riguarda le auto in pista

A Monaco, con pochissimi rettilinei e una velocità media bassa, l’attenzione è soprattutto sulla deportanza, accresciuta rispetto al solito per garantire frenate più brevi e maggiore stabilità in accelerazione. Tra le preoccupazioni dei team ci sono la temperatura dei freni (che tende ad abbassarsi troppo) e quella del motore che al contrario sale parecchio. 

A Indianapolis, invece, le altissime velocità e le caratteristiche stesse del tracciato impongono l’uso di profili aerodinamici molto semplici, con alettoni ridotti al minimo. Altra caratteristica è quella di avere una campanatura diversa delle ruote, positiva a sinistra, negativa a destra, così che l’auto appare leggermente “ruotata” sulla sinistra. In questo modo si garantisce un migliore assetto in curva.

I drammi

Per la loro stessa conformazione questi circuiti sono considerati – ognuno per le proprie caratteristiche – tra i più difficili e quindi anche pericolosi. Nel corso degli anni non sono mancati incidenti anche drammatici.

A Monaco, si ricorda la fine del pilota italiano Lorenzo Bandini che nel 1967 – mentre era in testa alla gara con la sua Ferrari – perse il controllo e si ribaltò alla chicane del porto. L’auto prese fuoco e il pilota nato in Libia venne estratto dalle fiamme con gravi ustioni e spirò dopo tre giorni al Princess Grace Hospital. 

Tra le vittime del circuito americano, invece, il più ricordato è Gordon Smiley, deceduto sul colpo nel corso delle prove dell’edizione 1982 (giusto 40 anni fa) dopo aver perso il controllo della March con cui stava chiudendo i giri di riscaldamento. L’auto si schiantò a quasi 320 all’ora contro le barriere, distruggendosi e provocando l’esplosione del serbatoio.