Con la famiglia delle 250, vetture in produzione per oltre un decennio a partire dal 1952, la Ferrari ha maturato la sua strategia di costruttore non soltanto votato a modelli quasi esclusivamente destinati alle competizioni ma anche alle granturismo di serie, per quanto naturalmente dai numeri assai limitati. In tale contesto, non sono mancate d’altra parte auto che intendevano unire all’eccellenza in fatto di dinamica e prestazioni lusso e ricercatezza per rivolgersi alla clientela più elitaria.
Questo ruolo viene svolto, tra il 1959 e il 1964, dalle 410 e 400 Superamerica, carrozzate dalla Pinin Farina (Pininfarina dal 1961) in numeri estremamente ridotti e con alcune derivate, dal nome chiaramente identificativo Superfast, frutto di sperimentazioni stilistiche, tecniche e di allestimento al massimo livello. Così, quando nel gennaio del 1964 viene consegnata l’ultima 400 è già in dirittura d’arrivo per essere presentata al Salone di Ginevra qualche mese dopo la 500 Superfast, granturismo al vertice assoluto all’epoca nella gamma della casa di Maranello.
Un Cavallino al debutto in una bella tinta azzurro metallizzato e riservato ai pochissimi che posono permettersi cifre da capogiro: in Italia oltre 11 milioni di lire, il doppio della stessa Ferrari 275 GTB contemporanea, quasi il triplo di una Jaguar E-Type, pari ad un’ammiraglia da capi di stato come la Mercedes 600 e appena meno cara di una Rolls Royce Silver Cloud. Non a caso fra i primi proprietari troviamo Aga Khan e Bernardo d’Olanda, lo Scià di Persia e Peter Sellers.
Riannodando il filo del design con le versioni più moderne delle Superamerica, Aldo Brovarone della Pininfarina firma una coupé dalle grandi dimensioni (4,82 metri di lunghezza), dai tratti fortemente aerodinamici, con “bocca” frontale ovale, prese d’aria a feritoie sui parafanghi anteriori, coda a punta tronca, classici cerchi a raggi Borrani e piccoli paraurti sdoppiati sia davanti che dietro.
Un insieme aggressivo e, al tempo stesso, elegante che si sposa con le raffinatezze di un abitacolo a sua volta esempio di sintesi tra funzionalità sportiva, cura artigianale e uso di materiali pregiati, dal legno alla pelle Connolly. Due i posti, ai quali si aggiunge uno spazio posteriore per sistemare bagagli od offrire uno strapuntino di “fortuna”. Completa la tradizionale strumentazione ad elementi circolari con alcuni indicatori sulla consolle centrale e, nella lista accessori, condizionatore e impianto stereo.
L’impostazione tecnica è quella ben collaudata dalle granturismo Ferrari precedenti, basata su un telaio in acciaio a longheroni e traverse, sospensioni anteriori indipendenti a quadrilateri e posteriori ad assale rigido con balestre, quattro freni a disco, sterzo a vite e rullo. Nuovo il possente motore V12 5 litri (da cui la sigla 500), monoalbero a camme in testa per bancata, alimentato da sei carburatori doppio corpo, accensione con due spinterogeni e lubrificazione a carter secco.
Il cambio a quattro marce sincronizzate è accompagnato da overdrive a comando elettrico. I 400 cavalli disponibili, valore eccezionale ai tempi, fanno della Superfast un punto di riferimento quanto a prestazioni, in grado di raggiungere i 280 chilometri orari. Aggiornamenti riguarderanno le prese d’aria, l’adozione di tre carburatori e, soprattutto, di un cambio a cinque marce.
La produzione termina nel 1966 dopo appena 37 esemplari e non ci saranno vere e proprie eredi. Il filone dell’esclusività prosegue con la cabriolet 365 California, per trasformarsi poi nelle serie dai numeri ben più elevati delle coupé quattro posti e 2+2 fino alla 612 Scaglietti del 2004 e alla FF del 2011. Il nome Superfast torna però nel 2017 per la iperbolica 812: 6,5 litri da 800 cavalli.